Uno sguardo sul mondo che ci circonda:
alcuni dei fenomeni che ormai ci siamo abituati ad osservare attorno a noi, rilevanti e in forte aumento, quali obesità e sovrappeso nella popolazione infantile, problematiche psicologiche derivanti da allergie ed intolleranze, fobie sui cibi, alimentazione selettiva, et. a.l. ci aiutano a riflette sulla necessità di intervenire sullo stile di vita ed alimentare della
popolazione. Così la complessa tematica del “cibo”, legata al comportamento alimentare, diventa campo della psicologia, in quanto il comportamento alimentare, come ogni altro comportamento, è determinato da fattori bio-psico- sociali. Lo psicologo può e deve occuparsi di capire e di far comprendere i fattori che influenzano gli atteggiamenti, i gusti, gli stimoli (non solo biochimici) che regolano il comportamento alimentare, e poter essere di aiuto per effettuare, lì dove necessari, cambiamenti significativi indispensabili per la salute dell’individuo. Il problema del “cibo” non è solo di tipo biologico (fame/sazietà) ma anche e soprattutto di natura emotiva.
Molti sono i fattori che possono influire sulla scelta del cibo e la modalità con cui ci approcciamo ad esso quali stress, noia, rabbia, vuoto, solitudine, abitudine, automatismi, apprendimenti errati, che sono solo alcune delle spinte cosi dette motivazionali non biologiche più importanti e comuni che portano gli individui a mangiare.
L’intervento dello psicologo sarà finalizzato all’adozione di comportamenti alimentari corretti e al mantenimento di questi, agendo sia in ambito preventivo sia nelle situazioni problematiche già conclamate. I colloqui psicologici nell’ambito del comportamento alimentare, hanno lo scopo di rendere consapevole le persone dei pensieri e credenze disfunzionali relative al cibo e che sono
alla base di un rapporto col cibo scorretto. Il comportamento alimentare essendo appunto un comportamento ha una forte componente psicologica ed è influenzato da fattori sociali, emotivi, culturali, personali, da motivazioni intrinseche e atteggiamenti individuali che verranno portati alla luce grazie al colloquio psicologico il cui scopo ultimo è favorire un cambiamento nello stile di vita e nelle modalità di pensiero disfunzionali. L’obiettivo sarà diventare consapevoli del valore simbolico che attribuiamo al cibo,
dell’influenza sociale e culturale cui siamo sottoposti e imparare a distinguere tra fame vera e fame emotiva.
IL “SIGNIFICATO” DEL CIBO
Il cibo, da sempre, ha assunto un significato simbolico e una speciale carica emotiva di calore, rifugio, identificazione. Mangiare vuol dire incorporare, assimilare, anche in senso ideale, le caratteristiche proprie degli alimenti che diventano parte dell’individuo. Gli uomini diventano “forti o deboli” a seconda del cibo “forte o debole” che assumono; ecco che vengono conferiti poteri magici ad alcuni elementi. Il pasto comune, in ogni società, ha un significato di mantenimento di identità culturale, di scambio; è simbolo di comunità, è rito religioso, è ospitalità. I costumi alimentari sono tra gli indicatori migliori delle caratteristiche etniche e delle differenziazioni tra i popoli; i riti ad essi connessi, i miti e i tabù, hanno permesso di identificare leggi precise dei comportamenti umani.
Gli studi sui processi di attaccamento e distacco concettualizzano la propensione degli esseri umani a stabilire e mantenere la prossimità con le figure significative e a stringere con queste forti legami affettivi, che costituiranno la base degli stili affettivi adulti. Tali processi hanno luogo grazie alla partecipazione di sistemi comportamentali innati (piangere, succhiare, ridere, aggrapparsi) che hanno un ruolo fondamentale nell’alimentazione e costituiscono la maggior fonte iniziale di informazioni per un sistema conoscitivo umano, punto di integrazione tra l’innato e l’acquisito, sistema biologico di regolazione di tutte le relazioni strette. Così è importantissimo che durante il divezzamento il bambino sperimenti in modo piacevole la vicinanza con la madre come pure i primissimi allontanamenti da lei, ovvero le prime espressioni di gusti e propensioni diversi dalle aspettative della stessa. Ecco che l’esperienza del divezzamento si fa centrale anche dal punto di vista delle abilità conoscitive e della qualità dell’esperienza del bambino.
Approfondimenti:
L’EDUCAZIONE ALIMENTARE INFANTILE
L’educazione alimentare che si impara da bambini influenza il nostro rapporto con il cibo da adulti. L’esperienza alimentare è la prima forma di contatto del neonato con il mondo esterno. Il cibo è una delle prime forme di dipendenza dall’adulto che si prende cura del bambino, divenendo uno dei principali organizzatori psichici e relazionali per lo sviluppo del soggetto nell’infanzia. È importante aiutare il bambino a rapportarsi in modo equilibrato e corretto al cibo. Le risposte dei genitori ai segnali del neonato hanno un ruolo fondamentale per lo sviluppo della capacità di autoregolazione. L’appuntamento con la pappa non deve essere mai caricato di aspettativa e ansia ma deve essere vissuto, soprattutto dai genitori, con serenità ed equilibrio. Solo in questo modo il bambino vivrà l'alimentazione come un momento gioioso. Giocando con la pappa si impara anche ad assaggiarla. Il bambino comincia a conoscere e memorizzare stati corporei diversi attraverso le sensazioni che sperimenta durante l’alimentazione (tensione legata alla fame, rilassamento e benessere legati alla sazietà). Le modalità di accudimento rispetto al cibo determinano la qualità delle sensazioni corporee che il bambino associa al cibo. Se positive, il bambino struttura un senso di
fiducia nella possibilità di soddisfare le sue sensazioni di fame; se inadeguate, nel bambino prevale un senso di spaesamento e di non sintonia tra i suoi bisogni e le risposte che gli arrivano dall’esterno, determinando delle reazioni difensive e compensatorie, tanto più patologiche quanto più è precoce la necessità di attivarle.
E’ importante non trasformare il cibo in un’arma di ricatto affettivo. Il bambino non deve essere costretto a mangiare per far piacere alla mamma o per ottenere qualcosa. Il bambino deve imparare a riconoscere e soddisfare i suoi bisogni. Se mostra di non gradire alcuni alimenti non forzarlo.
Le difficoltà connesse all’alimentazione possono anche essere transitorie e associate a momenti particolari dello sviluppo come lo svezzamento, brevi separazioni dalla figura materna e solitamente tali difficoltà si risolvono spontaneamente e lo sviluppo riprende il suo corso armonioso.
Altre volte, invece, si assiste all’emergere di un vero e proprio disturbo alimentare. È importante che i genitori imparino a comprendere il disagio celato da una ipo- o una sovra-alimentazione dei bambini. Anche i bambini, come gli adulti possono instaurare con il cibo un rapporto patologico che, se non visto e riconosciuto dai genitori può trasformarsi in seguito in un disturbo alimentare. Trasmettere la convinzione che l’aspetto fisico sia fondamentale per raggiungere i propri obiettivi e sentirsi amati e soddisfatti o al contrario non prestare un adeguata attenzione al benessere fisico, spesso porta i bambini a sfogare le loro preoccupazione sul cibo. L’individuazione del disagio ad uno stadio precoce è spesso associata ad una risoluzione sintomatica più rapida.